Con particolare riferimento alle società di capitali, il recente periodo di crisi ha sempre più di frequente posto i soci di fronte a necessità di ricapitalizzazione. Quando i soci sono privati, le ragioni che li inducono ad immettere nuovi fondi nel capitale sociale possono essere le più varie (ridare solidità alla società, ristabilire il capitale eroso dalle perdite etc.). Ma cosa avviene nel caso di una società partecipata, quando è un ente pubblico a dover decidere sull’opportunità della ricapitalizzazione? Che criteri devono guidare la Pubblica Amministrazione le cui spese sono soggette a pesanti vincoli e controlli connessi al pubblico interesse?
Nei fatti, esiste una specifica normativa posta a tutela dei limiti alle decisioni di spesa e su di essa devono essere di volta in volta calibrate le scelte degli amministratori pubblici. Con riferimento alle proposte di ricapitalizzazione che gli venissero di volta in volta sottoposte, un ente pubblico dovrebbe, innanzi tutto, considerare il disposto dell’art. 14, comma 5, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (in vigore dal 23 settembre 2016). Tale disposizione che, in merito alla questione in esame, riprende pressoché integralmente quanto precedentemente indicato dal precedente art. 6, comma 19, D.L. 78/2010, prevede infatti il divieto di “aumenti di capitale … a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalità di cui all’articolo 5, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni”.
Come si evince dalla disposizione normativa sopra citata, le possibilità di ricapitalizzazione per società partecipate in crisi, sono tutt’altro che indiscriminate. Ove concessa, inoltre, la ricapitalizzazione è soggetta a rilevanti e penetranti controlli volti ad indagarne l’effettiva utilità (vedasi l’intervento richiesto all’Autorità di regolazione del settore, alla Corte dei Conti etc.).
Restano comunque escluse da tale ferrea normativa le società che non hanno registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che non hanno utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono, inoltre, esplicitamente escluse dal suddetto divieto tassativo, le società partecipate in cui la ricapitalizzazione risulti necessaria in ragione dell’erosione del capitale sociale oltre il minimo legale (artt. 2447 e 2482 ter c.c.).
I casi esclusi dall’applicazione dell’art. 14, quinto comma, D.Lgs. 175/2016 non sono però soggetti ad una piena discrezionalità dell’ente pubblico in merito alla scelta di ricapitalizzare la società. Assai di frequente, infatti, la giurisprudenza della Corte dei Conti si è espressa in termini di particolare cautela. Dall’analisi di una serie di pronunce recenti, emerge come l’ente pubblico sia tenuto a motivare strettamente la propria scelta di ricapitalizzazione, posto che nella normalità dei casi la scelta dovrebbe vertere verso l’ipotesi negativa. In particolare, nel caso di ricapitalizzazione necessaria per erosione del capitale oltre il minimo legale, l’ente pubblico è tenuto a chiarire le ragioni per cui esso non si limiti a prendere atto dello scioglimento della società.
Per concludere, si raccomanda particolare attenzione agli amministratori pubblici nella decisione sulla ricapitalizzazione o meno di una società partecipata. Anche nei casi in cui non è previsto alcun espresso divieto legislativo, si consiglia che la scelta sia sempre sottesa ad un adeguato piano industriale o business plan idoneo a rendere conveniente per l’ente la ricapitalizzazione della partecipata.