L’acquisto di un immobile, di genere abitativo o di altra tipologia, è senza dubbio ricompreso fra gli investimenti più rilevanti e frequenti nella vita economica di persone fisiche ed imprese.
Logica e prassi vogliono che prima di procedere alla stipula del contratto definitivo di compravendita immobiliare (usualmente di fronte ad un notaio), si formalizzi preventivamente la volontà delle parti di realizzare l’affare attraverso un c.d. “contratto preliminare”.
La funzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare, da redigere in forma scritta a pena di nullità, è quella di concedere alle parti il tempo necessario a svolgere tutte le attività accessorie alla stipula del contratto definitivo, conservando un margine di sicurezza sulla successiva realizzazione dell’affare (magari con la consegna di una somma a titolo di caparra). A questo proposito, basti pensare alla necessità di ottenere un prestito dalla banca da parte dell’acquirente, porre termine ad un contratto di locazione da parte del venditore o anche solo, semplicemente, fissare un appuntamento con un notaio di fiducia.
In ragione della propria peculiare funzione preventiva, il contratto preliminare è generalmente fornito di un termine ben determinato, entro il quale le parti si impegnano a stipulare il contratto definitivo. Ebbene, cosa avviene se tale termine non viene rispettato da una delle parti con la conseguente mancata realizzazione della compravendita alla data concordemente stabilita? Nella maggioranza dei casi non avviene assolutamente nulla.
Questa considerazione può apparire curiosa se non si considera l’orientamento giurisprudenziale da cui essa ha origine. L’assoluta maggioranza delle autorità giudiziarie italiane chiamate ad esprimersi sulla violazione, da parte di uno dei contraenti, di un termine inserito in un preliminare, ha affermato l’assenza di un diritto al risarcimento dei danni (o alla ritenzione della caparra) per il contraente non inadempiente, nel caso in cui il termine non fosse qualificato come “essenziale”.
Tale previsione si fonda sul disposto dell’art. 1457 c.c. che espressamente prevede la risoluzione del contratto ed il connesso diritto al risarcimento, nel caso in cui fosse violato un termine che “deve considerarsi essenziale”.
Il rischio che il contraente non inadempiente corre è estremamente serio, anche se molto spesso sottovalutato. Può avvenire, infatti, che egli si veda paradossalmente costretto a risarcire i danni subiti proprio dalla parte che ha violato il termine non essenziale. Un caso frequente ed esemplificativo è quello del soggetto acquirente che, assistito da un prestito a scadenza concesso dalla propria banca al fine dell’acquisto di un’abitazione, fissi nel preliminare una data per stipulare il contratto definitivo contestualmente alla scadenza della delibera di mutuo. Nel caso in cui il venditore non rispettasse, per le ragioni più varie, il termine consensualmente stabilito ma si rendesse invece disponibile a realizzare l’affare magari un mese dopo, l’acquirente correrebbe il rischio di non vedere riconfermato il prestito da parte della banca e, magari, di perdere la caparra a suo tempo consegnata al venditore.
L’unica tutela possibile contro il suddetto rischio è qualificare il termine inserito nel preliminare come essenziale. A questo fine, la giurisprudenza chiarisce che è del tutto irrilevante l’utilizzo di qualsivoglia formula solenne: una frase come “le parti concordemente dichiarano di considerare il suddetto termine come essenziale” non comporta, quindi, necessariamente la fissazione di un limite temporale inviolabile entro il quale l’affare deve essere realizzato a pena di automatica risoluzione (e risarcimento).
L’orientamento maggioritario ritiene che un termine può ritenersi “essenziale” solo quando, alla stregua delle espressioni utilizzate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabile la volontà delle parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine.
In considerazione di quanto affermato, quindi, si ritiene assolutamente consigliabile, per il contraente che volesse avvalersi del termine, inserire espressamente nel contratto preliminare le ragioni per le quali egli desidera che la data fissata per la stipula del contratto definitivo non sia superabile. Espressioni che collegano, per esempio, il termine indicato nel preliminare alla data di scadenza della delibera di mutuo o, in ogni caso, all’effettiva disponibilità delle somme necessarie all’acquisto, sono le uniche idonee ad assicurare una certa sicurezza sul rispetto del suddetto termine da parte dell’altro contraente.
In ogni caso, a fronte della dimensione, della delicatezza e della rischiosità spesso collegate ad una compravendita immobiliare, sarebbe sempre opportuno farsi assistere dal proprio legale di fiducia in tale investimento o, quantomeno, fargli preventivamente visionare e revisionare il contenuto del contratto preliminare che si intende sottoscrivere.