Nel caso sottoposto il cliente è stato condannato al pagamento delle spese legali, tuttavia il legale del difensore vincente ha emesso fattura nei confronti del proprio cliente che poi ha riaddebitato tale importo al soccombente, per cui, mentre in capo alla parte vincitrice l’effetto è di piena neutralità, il soccombente in giudizio è, invece, di fatto inciso, per cui lo stesso può dedurre la spesa inerente sostenuta sulla base del titolo giustificativo costituito dalla sentenza di condanna.
In questa ipotesi, il pagamento degli onorari viene effettuato direttamente dal cliente vincente al proprio difensore, fatta salva la successiva ripetibilità nei confronti del soggetto soccombente.
Per quanto attiene agli eventuali obblighi di effettuazione delle ritenute, a norma dell’art. 25, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, “I soggetti… che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati… per prestazioni di lavoro autonomo… rese a terzi o nell’interesse di terzi, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa…”.
È evidente, quindi, che il cliente vittorioso, che paga gli onorari al proprio difensore con cui è legato da un rapporto di natura sinallagmatica, è tenuto ad operare la ritenuta d’acconto sul compenso corrisposto in ossequio al richiamato dispositivo dell’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973.
Da ultimo, per quanto attiene ai profili attinenti all’Iva, occorre innanzitutto richiamare l’art. 18, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 secondo cui “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”.
La prestazione professionale, resa dal difensore della parte vittoriosa nel giudizio, soggiace al principio enunciato dal citato art. 18. Da tale assunto discende che il professionista addebita l’imposta sul valore aggiunto inerente alle spese legali al proprio cliente in base al vincolo di sinallagmaticità richiesto dal citato articolo, stante la totale estraneità del soccombente in giudizio rispetto al rapporto che intercorre tra il prestatore del servizio-avvocato ed il committente-cliente.
In base all’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, l’adempimento correlato alla prestazione professionale resa dal legale concerne l’obbligo del prestatore di servizio di emettere fattura al proprio cliente contenente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese, con l’indicazione della relativa imposta addebitata.
Tra le spese processuali che la parte soccombente è tenuta a rimborsare al vincitore, rientra anche l’imposta addebitata allo stesso dal proprio difensore a titolo di Iva. Tale obbligo sorge perché l’imposta predetta costituisce una voce accessoria, di natura fiscale, del corrispettivo dovuto per prestazioni professionali relative alla difesa in giudizio, il cui rimborso spetta anche in assenza di espressa domanda o specifica pronuncia del giudice.
Il principio in base al quale, di norma alla parte vittoriosa spetta il rimborso dell’Iva corrisposta al proprio difensore, si rinviene anche nella circolare 6 dicembre 1994, n. 203/E e nella risoluzione 24 luglio 1998, n. 91/E. La prassi citata ha provveduto inoltre a limitare la regola generale con riguardo alla qualità personale della parte vittoriosa, se in altri termini essa sia o meno un soggetto che esercita attività d’impresa. Qualora la parte vittoriosa sia un soggetto imprenditore, il predetto obbligo processuale di tenere indenne dal pagamento dell’Iva la parte vittoriosa non troverebbe più applicazione.
Nell’ipotesi prospettata, infatti, il soggetto vittorioso ha diritto di esercitare la detrazione dell’Iva, per cui l’imposta addebitatagli in rivalsa non costituisce per lui un costo effettivo, per cui potrà pretendere dalla controparte soccombente soltanto il rimborso di quanto dovuto a titolo di onorari e di spese, ma non l’Iva addebitata dal professionista.